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Che cos’è la viralità?

Rocket flying through astriods illustration

Tra le tante, ci sono due caratteristiche dell’internet che lo rendono mediamente un bel posto: il fatto che non si perda niente, e la serendipità intrinseca nel saltare da un link all’altro o nel refreshare la home di facebook. È così che pochi giorni fa mi sono imbattuto in un video che non vedevo da anni, ma che spiega meglio di mille tesi cosa vuol dire viralità.

Guardatelo tutto, ne vale la pena.

Proprio per la sua forza espressiva l’avevo inserito nella mia, di tesi, e anche se tanti lo usano per spiegare la leadership, io continuo a pensare che abbia molto da insegnarci sulla viralità, che spesso non è che l’obiettivo ultimo di engagement, anche e soprattutto per le marche che hanno deciso di entrare nel social web rispettandone i meccanismi.

Tornando al video, ecco cosa si vede:

Lì inizia, almeno in questo caso, il processo virale. Il primo ragazzo è un early adopter, un cool hunter, uno avanti: si fa spiegare i passi e condivide il contenuto. Il secondo follower è il punto di svolta che moltiplica esponenzialmente la visibilità del contenuto: tre persone insieme sono più che la loro somma. Adesso quella danza è virale e si aggiungono tutti gli altri.

Un caso talmente di successo che sui social oggi si chiamerebbe meme: perché ognuno che si aggiunge interpreta la danza a suo modo, ricondividendo con variazione, ma rispetta lo schema di base, che è il collante di tutti questi contenuti. Se non ci credete potete guardare di nuovo il video, e poi pensare a Condescending Wonka o Grumpy Cat.

Questo video racconta una case history di successo e, come sempre, da queste cose c’è da imparare. Io credo che il segreto sia già negli elementi iniziali del video: le persone, il contesto, il messaggio. Capire i primi due, costruire il terzo in modo che sia una bella sorpresa. In altri termini, e riportando il discorso ai social media, ci vuole una grandissima conoscenza delle community e degli strumenti a disposizione unita a un’esecuzione perfetta, che non deve avere paura di osare un po’.

Su Facebook, Twitter, Pinterest, Youtube, Google+ o Vine: chi ha il coraggio di essere il dancing guy del customer engagement?

 

 

Nessun correttore automatico è stato maledetto durante la scrittura di questo post, che spero diventi virile. DANNAZIONE!

 

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