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Internet delle cose, cosa?

L’espressione “Internet delle cose” è stata coniata nel 2009, quando i dispositivi RFID lasciavano presagire un futuro distopico in stile Minority Report e IBM (qualche anno prima) immaginava nuove prospettive per la spesa nei supermercati.

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Questo neologismo si riferisce agli oggetti fisici che hanno una rappresentazione virtuale, all’interno di una rete informatica. L’evoluzione tecnologica e la miniaturizzazione hanno condotto questo trend verso altre soluzioni rispetto ai chip RFID, considerando ipotesi che prima non erano immaginabili.

L’esempio più vicino di Internet delle cose è il QR Code, che alla stregua di un codice a barre permette di scansionare il codice grafico rappresentato, abbinandolo a un contenuto univoco sul web. Anche se tralasciamo le considerazioni sull’uso indiscriminato e improduttivo di questo strumento, i limiti appaiono evidenti:
– Deve essere inquadrato frontalmente e in parallelo, con condizioni di luce ottimali
– È necessario prevedere l’ingombro dell’elemento grafico
– Può collegarsi a un solo contenuto

Il sostituto più promettente del QR Code sembra essere Clickable Paper, che scalda i motori dal 2012. Il funzionamento è semplice, si seleziona l’area dove inserire i collegamenti ipertestuali, si assegnano i link e si stampa. Già da un paio di anni esiste l’applicazione per il mercato giapponese, mentre di recente è stata rilasciata anche in altre localizzazioni.

Come mai il mondo non è ancora pieno di carta cliccabile? Attualmente pare non esistere uno strumento di authoring autonomo, quindi è necessario interpellare l’azienda produttrice e farselo fare da loro.

Possibili applicazioni? Penso subito al settore food. Immaginate di comprare una confezione di pasta e inquadrando la scatola vi vengono suggerite diverse ricette, così da permettervi di comprare subito gli ingredienti necessari.

Questi sono solo gli albori dell’Internet delle cose, perché il futuro riguarderà sempre di più gli oggetti in grado di connettersi e non solo di suggerire ipertesti sotto interrogazione. Il mio esempio preferito è Tile, una startup che produrrà questi portachiavi in grado di essere localizzati oppure di emettere suoni, oltre a essere inventariati tramite apposita applicazione mobile. Una rivoluzione per le persone disordinate insomma.

I brand che utilizzo possono fare dell’Internet delle cose? Immaginate delle flûte di cristallo dotate di questa tecnologia, così da poter condividere un brindisi sui social tramite app Facebook…

Ma se esiste l’Internet delle cose, esisteranno anche i social network delle cose?

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