Raccontiamo le PR digitali partendo da ieri. I personaggi pubblici passavano davanti agli occhi e ai volti delle persone, con una frequenza tale da dargli riconoscibilità anche al di fuori delle ‘quattro mura’ e fuori dal piccolo schermo. Erano loro a fare chiacchiera, a fare PR, a promuovere un prodotto, un servizio. E il pubblico li ascoltava, seguiva i consigli, si fidava. Basta guardare al Carosello. Loro, le star della TV, influenzavano gli acquisti e i consumi. Le PR digitali cominciavano a farsi spazio. Le attività di comunicazione venivano gestite esclusivamente tramite i mass media generalisti, pronti a ottimizzare il rapporto tra costi e visibilità, aumentando così il numero delle vendite. Schema che, rimane accettabile fino a quando il principio “dell’uno-a-molti” crolla, passando a paradigmi di conversazione sociale, basati su veri e propri network di condivisione delle informazioni tra utenti e, successivamente, tra brand. Anche sulle reti sociali come nella vita vera, cominciano a definirsi i profili di persone più conosciute di altre, persone che diventano star. Non perché presenti in qualche film, non perché testimonial di campagne pubblicitarie on air da tempo, ma per un numero alto di followers nei loro messaggi, e per essersi costruiti una personalità molto “influenzante” all’interno dei social network. La capacità di attirare la massa varia in base al tema di riferimento, della piattaforma, del contesto, dal device che usa il lettore per fruire dei contenuti.

Ma facciamo un passo indietro. Prima di parlare di tweet e ‘status update’, la socialità sul web sociale prima veniva espressa attraverso i blog e/o i domini a carattere personale e i forum.
Lì venivano trovate le penne migliori, le persone che avessero quella capacità, tra un capoverso e l’altro, di tenere incollate migliaia (all’epoca) di persone che non aspettavano altro che l’uscita del prossimo articolo; ops, post, del loro ‘blogger’ preferito.
Ma l’evoluzione è continua e costante, e dallo scrivere per se stessi o per pochi altri, si passa al condividere, con frequenze sempre più maggiori, attimi della propria esistenza, istantanee del proprio quotidiano, interagendo in tempo reale con tanta altra gente, spesso contemporaneamente. Facebook, Youtube, Flickr, Twitter, adesso Pinterest tra i primi nomi da poter citare.
Nominati in molte discussioni, presenti in altrettante, gli Opinion Leader (appellativo tra i tanti), cominciano ad essere notati dalle prime agenzie ‘digital’ sulla scena nazionale, per iniziare a proporre i primissimi momenti di partecipazione nei confronti di lancio di prodotti o di singole operazioni commerciali.
“Ma perché tutto questo?”, si chiedevano i primi utenti italiani coinvolti in invio di plichi presso il proprio domicilio. La risposta: perché “il tuo parere potrebbe avere ‘influenza’ nella scelta di un marchio.

PR digitali: one more step

La rete sociale impazza, i numeri galoppano e subito dopo intere comunità, ognuna con le proprie regole di interazione, si formano. Ognuna con i suoi amici su Facebook, i suoi follower su Twitter, i suoi ‘mi seguono’ su Instagram. Gli influencer, vengono così definiti portatori sani di informazione, diffusori di contenuti in quella che è stata definita la versione 2.0 della rete, dove passioni o interessi comuni agiscono come collante per la creazione di comunità virtuali. In principio era un comunicato stampa ‘classico’ quello affidato alle mani di chi già dialogava con la comunicazione tradizionale, poi le prime mail di gruppo, fino ad arrivare alle comunicazioni personalizzate.
Poco si sapeva all’epoca, se non che, far provare l’esperienza di un prodotto a un ‘blogger’ fosse cosa “buona e giusta”, e che condividere con lui il lancio sui canali ‘alternativi’, avrebbe fatto bene alla brand reputation. In tutto ciò l’originalità e la creatività non stanno certo con le mani in mano! E dai plichi rudi e grezzi con all’interno istruzioni per la prova prodotto, si passa a buzz-kit più seducenti stuzzicanti recapitati direttamente sulla scrivania dell’incallito comunicatore virtuale. Un linguaggio sempre meno ingessato e agile veniva utilizzato già fin dal primo ‘contatto’ via mail.
Un’evoluzione percepita anche nel modo di affrontare i primi eventi che nell’off-line si mescolavano con tempistiche e regole dell’online.
“Influencer Marketing” ovvero quella capacità di muoversi nei territori del marketing sotto forme più svariate, insieme al ‘popolo della rete’, guidati proprio dagli influencer.

Proprio loro cominciavano ad essere presi di mira da aziende interessate a coinvolgerli in operazioni commerciali, realizzando un’interazione anche in forme numericamente interessanti e su ‘larga scala’ attraverso veri e propri ‘blog-tour’, dove l’esperienza veniva offerta in modalità aggregata, pronta chiaramente ad alimentarne in maniera esponenziale il suo potere comunicativo.
Tanti i settori interessati, delle più disparate aree merceologiche. Fashion, auto, profumi, food, accessori, techno-gadget, telefonia, hotel, viaggi, turismo e sport. Universi così eterogenei, che devono però essere localizzati in base alle aree di attività del singolo comunicatore.
Non tutti parlano di tutto, e importante, fin da sempre, è avere la capacità di definire con una certa precisione di informazioni il ‘target’ a cui può essere indirizzato il singolo coinvolgimento.
Profilare nella maniera più attenta possibile i vari cluster di riferimento era ed è, uno dei comportamenti base da dover rispettare per poter solamente partire ad avere un dialogo con il singolo influencer. Ma non basta. Dietro ogni singolo “nickname” c’è sempre una persona (o gruppi di) che corrispondono a differenti profili caratteriali, atteggiamenti, capacità percettive che vanno comprese, e che vanno trattate con la massima capacità di analisi.

Pr digitali: non solo prove prodotto

L’influencer è diventato un ‘testimonial’, affidando alla propria immagine pubblica sulla rete il compito di lanciare, su vasta scala, quel singolo prodotto.
Non solo: le collaborazioni e il dialogo con il brand, spesso si traducono in occasioni di sinergia editoriale, e momenti di guest-blogging, dove è la firma dell’influencer a raggiungere l’obiettivo desiderato. 
Scelte che, a livello comunicazionale, sono molto importanti, e per le quali i settori di marketing di agenzie e aziende affrontano sessioni di riunione dal ritmo spesso estenuante.
Al volto degli influencer, al numero di utenti che li segue, ai loro canali, viene affidato il compito di far passare messaggi che, avvolti in involucri tradizionali, non avrebbero la benché minima speranza di approdare a bacini di utenti tanto desiderati. L’influencer ha la facoltà talvolta di riuscire a trasferire curiosità per quel singolo prodotto e di tradurre la propria esperienza in qualcosa di positivo facendoli identificare anche “cine attivatori” di comportamenti latenti o potenziali.
Fan e follower che sono pronti a ricondividere decine e decine di volte, l’ultimo scatto della loro fashion-beniamina con la borsa di grido dello stilista noto.
Un mondo intorno al quale ruotano interessi, budget e attività di comunicazione digitale e non, spesso molto strutturate.

PR digitali: a che punto siamo

Il mercato dell’Influencer marketing, sembra essere arrivato ad una sua fase di prima maturazione, con il definirsi di comportamenti consolidati o meccaniche riconosciute.
Per qualcuno è il segnale di un cambiamento radicale e necessario, per altri solo il normale assestamento di scelte già fatte. Quello che è certo e comune per tutti, è che la continua evoluzione del settore della comunicazione online, anche grazie al differente assetto economico del pianeta, modificherà con profondità la capacità dei brand di relazionarsi con il proprio audience percepito e non.

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