Da Wuhan a Codogno, da semplice virus a pandemia globale: il Coronavirus è diventato in breve tempo una realtà quotidiana su scala mondiale. Non è un fatto insolito, però. La spagnola nel 1918, l’asiatica negli anni ’50, la “spaziale” negli anni ’60.

Cosa rende speciale quindi la pandemia del 2020? L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non ha dubbi: siamo di fronte alla prima infodemia da social media.

Dalla pandemia all’infodemia

Sgombriamo subito il campo da possibili dubbi: con “infodemia”, termine coniato dal giornalista David J. Rothkpof in seguito all’esplosione della SARS, s’intende la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni su un dato argomento, non sempre vagliata, controllata e trattata adeguatamente, la cui contraddittorietà rende difficile per il pubblico orientarsi tra fonti autorevoli e notizie veritiere.

Un fenomeno, questo, che ha mostrato tutta la sua forza in questi mesi con i social network. La corsa alla notizia più tempestiva, le fughe dalla Lombardia di fronte alle bozze di decreto trapelate, il virus prima isolato e poi no, il Covid-19 che è nato dai pipistrelli oppure dal pangolino, il limone uccide il virus, le bevande calde pure…insomma, gli esempi si sprecano.

Ecco perché il Coronavirus rappresenta il primo caso nella storia di pandemia amplificata dai social media. Una paura globale che viene fomentata, giorno dopo giorno, da post non verificati anche di testate rinomate, millantatori medici pronti a cercare notorietà e sponsorizzazioni di dubbio gusto.

Per questo motivo l’OMS ha chiesto a tutti gli attori del mondo digital e social di fare la loro parte per frenare questo fenomeno pericoloso.

Quali sono state quindi le reazioni?

I big del web in azione

Sono anni che a gran voce si chiedono azioni drastiche contro le fake news, contro ads immorali e contro un certo liberalismo verso gruppi “sopra le righe” (dai complottisti fino a derive più estreme). Dove non arriva il buonsenso, però, ci pensa la crisi.

I social network e i big del web hanno risposto uniti all’emergenza, attrezzandosi con strumenti di vario tipo. Facebook in prima linea tra tutti.

Facebook vs. Covid-19

Il social network di Zuckerberg, infatti, ha in primo luogo creato una pagina aggregratice di informazioni utili e notizie certificate in merito alla crisi, un approdo sicuro per tutti gli utenti. L’attività di Facebook non si limita però solo a una funzione informativa: quest’ultima infatti è accompagnata da una vera e propria tagliola di pagine produttrici di contenuti fake e soprattutto dal blocco delle ads più dannose per la collettività.

Un esempio? Le mascherine. Di fronte all’emergenza sanitaria, alla scarsità di mascherine e all’impennata del loro prezzo, Facebook ha deciso di bloccare gli annunci sponsorizzati in merito, per evitare sia di creare un senso di paura maggiore nel pubblico, sia per impedire di sfruttare l’emergenza per il proprio tornaconto economico.

Una condotta imitata e seguita anche da Amazon ed Ebay, che stanno procedendo quotidianamente all’eliminazione dal proprio Marketplace e dalle proprie liste di venditori di chi crea uno stato di emergenza sanitaria, alzando i prezzi di materiale medico e gel igienizzanti.

Le istituzioni si riscoprono “Pop”

La crisi che stiamo vivendo, però, rappresenta anche un’occasione per migliorare l’approccio con i social media. È importante comprenderli e sfruttarli al massimo, sia per il digital marketing sia per il bene comune.

Infatti, seppur l’emergenza Coronavirus sia fresca e ancora in pieno svolgimento, possiamo già notare nuovi interessanti trend.

Primo fra tutti: un generale “svecchiamento” delle istituzioni. Pensate solo all’incredibile numero di utenti che popolano piattaforme come Instagram e TikTok, e quanti siano gli appartenenti alla Generazione Z al loro interno. Come raggiungerli e come fare della prevenzione su temi notoriamente non di forte appeal?

La risposta ce la danno, tra i tanti, proprio l’OMS e il Forum Economico Mondiale (WEF): un approccio pop e accattivante, con creatività studiate per attirare trasversalmente il pubblico, capace di trasmettere la propria missione di prevenzione e guida nella crisi sulle piattaforme più giovani.

Basti guardare le guide dell’OMS su Instagram, con illustrazioni animate che strizzano l’occhio anche agli utenti più giovani, o i video del WEF su TikTok.

Anche le istituzioni si stanno approcciando all’emergenza trovando soluzioni “social” capaci di coinvolgere il pubblico e creare un nuovo rapporto. Mai come in questo momento, infatti, serve superare la proverbiale distanza Governo/popolo.

Ne è un esempio il Ministero della salute francese, con le sue infografiche animate e la sua utile e a tratti comica attività di debunking su Twitter, verso i luoghi comuni che si creano attorno alle cause di contagio e ai “rimedi della nonna” francesi contro il Coronavirus.

La battaglia contro il Coronavirus è solo all’inizio, ma sono proprio i momenti di crisi a rappresentare un’opportunità di riflessione e di studio. L’emergenza Covid-19 è anche questo: un momento in cui essere lucidi. Un momento per ripensare agli interventi e alle azioni necessarie per fornire una corretta e sana informazione, adeguata ai canali e alle piattaforme attraverso cui viene divulgata e adatta al pubblico che ne usufruisce. E i social network, questa volta, ne sono un ottimo esempio.

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