Se leggere le notizie è la preghiera dell’uomo laico, come diceva Hegel, leggerle online è la preghiera dell’uomo laico 2.0. Ogni quotidiano nazionale dispone di un sito web con la rassegna delle notizie della versione stampata, oltre a una vasta gamma di contenuti di intrattenimento in omaggio. Alcuni di questi siti dispongono anche di una versione “social”, fruibile tramite un’applicazione Facebook. Le funzionalità principali di questo genere di applicativi sono abbastanza ricorrenti:

  • Ordinamento automatico degli articoli in base al gradimento o alla “lettura”.
  • Pubblicazione automatica delle notifiche di “lettura” sulla propria Timeline.
  • Possibilità di condivisione o di espressione del gradimento rispetto a una notizia.

Ma facciamo un piccolo passo indietro, prima di scegliere il canale su cui fruire i contenuti online, prima ancora della scelta del mezzo, ovvero: a quale testata affido la mia informazione?

La scelta della testata preferita viene operata in base ai più disparati criteri, come lo schieramento politico individuale e del giornale, le firme dei giornalisti che vi scrivono, il formato e il layout. Oltre a queste ragioni funzionali, ideologiche e di fruizione, ne esistono di ulteriori, di natura sociale e familiare. Molti comprano lo stesso quotidiano letto dal padre (oppure uno di segno opposto), altri ostentano la lettura di una testata come presa di posizione o status. Una cosa è certa, la scelta viene effettuata, anche se talvolta non è concretizzata in una pratica di acquisto del giornale cartaceo. Potremmo dunque affermare che a prescindere dagli aspetti elencati, un giornale viene letto anche per il modo in cui le notizie vengono erogate. Una volta smarcato questo punto passiamo alla domanda successiva.

Se leggo un quotidiano anche per come eroga le informazioni, ha senso rimandare all’utente la responsabilità dell’ordinamento delle notizie? Probabilmente la risposta è no. La certezza è quella di attuare uno scollamento tra la percezione del brand e i contenuti che lo rappresentano sui social. Prendiamo come esempio Blu La Repubblica, dove gli articoli proposti non corrispondono con quelli della prima pagina online, né tantomeno con la versione stampata.

Qualcuno di voi a questo punto starà pensando che all’estero sicuramente non viene commesso lo stesso errore. Sbagliato, anche il Washington Post adotta lo stesso approccio, anche se lo fa con un risultato nettamente migliore.

L’attuale futuro dei social reader punta in una direzione, la stessa dell’Huffington Post, ESPN e Yahoo!, ovvero l’applicazione social diventa invisibile e si insinua nelle trame del sito.

Nel dettaglio:

  • Assenza dell’applicazione su Facebook.
  • L’ordinamento degli articoli è quello del sito.
  • L’applicativo sociale è invisibile, nascosto nel codice del sito web.
  • Previo consenso dell’utente, su Facebook vengono condivise le azioni svolte sul sito web.
  • Graduale abbandono degli automatismi invasivi, come le notifiche di “lettura”.
  • Controllo maggiore sulle azioni condivise.

La battaglia del Social Reader si combatte sul campo dell’automatico vs manuale o per dirla meglio, sull’impiego assennato di automatismi e operazioni volontarie. Questo non solo per evitare che la homepage di Facebook sia infarcita di notifiche poco interessanti, ma per garantire un’esperienza rilevante e informativa ai lettori. L’indice degli articoli non dovrebbe essere stabilito dal numero di letture totalizzate, perché anche se fosse un valore realmente misurabile (e non lo è), poco dovrebbe importarcene come utenti.
Adesso diteci, voi usate i social reader?

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