Martedì scorso sono stato a un concerto che aspettavo da mesi e alla fine ho anche capito qualcosa sui social media.

La scena chiave è quella che chiunque abbia familiarità con i concerti ha visto più volte: tantissime mani in alto che tengono saldamente uno smartphone e riprendono quello che sta accadendo sul palco. Non ero in prima fila e non sono molto alto, per cui mi sono trovato a vedere quella scena in una versione moltiplicata e reinterpretata da mille schermi, di forme e altezze diverse, contemporaneamente. Mi ha fatto riflettere, e a distanza di qualche giorno ho capito che questo comportamento nascondeva degli insegnamenti anche per chi si occupa di social media marketing e per le marche che vogliono instaurare un rapporto sincero con le persone.

Ogni persona ha una rete sociale attorno a sé.
Il concerto era sold out, ma a conti fatti stavano assistendo molte più persone di quelle che riuscivo a vedere: foto e video erano condivisi con una minima differita in quei luoghi digitali che hanno valore sociale per chi li frequenta. E se pensiamo che un utente Facebook ha mediamente più di 200 contatti, è evidente in che proporzioni cambi il numero dei destinatari in seguito a una condivisione.

Per questo le marche non devono mai dimenticare che non stanno parlando soltanto ai loro interlocutori diretti (siano essi fan, follower, subscriber), ma a community allargate, che includono le rispettive reti sociali.

Non tutti i contenuti sono uguali.
C’erano dei momenti ben precisi in cui tutte queste mani si alzavano a cambiarmi la visuale. La cosa strana è che non erano sempre i momenti più belli o i ritornelli più famosi: erano i momenti più condivisibili. Nel caso di un concerto può essere una questione di luci, atmosfera, interazioni estemporanee, elementi di tutto quello che in altre sedi (come questa) può chiamarsi viralità. Detto in altri termini, la forma del contenuto incide in maniera decisiva sulla reazione delle persone.

Per questo le marche devono adeguare la forma dei contenuti che offrono alle proprie community allargate ai luoghi in cui li diffondono, per favorire uno dei comportamenti più naturali: rendere partecipi gli altri di ciò che si ama.

Online e offline non sono più separabili.
Questi primi due punti, uniti alla familiarità della scena da cui sono partito, rendono l’idea di quanto sia pervasivo e importante per le persone internet su mobile. Se non bastasse, ci sono i dati sulla penetrazione degli smartphone, il numero di utenti mobile dichiarato da Facebook, o il recente report su adv e mobile. Ma l’aspetto su cui riflettere è la circolarità di questi processi. Nella forma più semplice possibile: molte persone hanno saputo online di un concerto che hanno visto offline e aveva una forma adatta alla condivisione online. Se quello show avesse fatto parte di una social media strategy, sarebbe stato perfetto.

Per questo le marche devono coordinare tra di loro i luoghi e i modi in cui diffondono adeguati contenuti. La comunicazione deve essere integrata, non la somma di presenze incoerenti, e ogni canale può essere coinvolto a questo scopo: online o offline.

Nel mio piccolo, anch’io ho condiviso quel concerto attraverso questo post.
Era un contenuto di valore, in una forma che mi ha coinvolto e fatto riflettere, che ho vissuto offline e di cui adesso state leggendo su un blog. Era Bon Iver, e se non c’eravate questo è quello che vi siete persi.

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