Qualcuno ha detto “Ad-blocking”? Sì, ma partiamo dall’inizio.

Rilasciato il nuovo trailer del film dell’anno. Apri Youtube per vederlo e SBAM, eccolo lì, il video pubblicitario di 10 secondi di cui avresti fatto volentieri a meno. E ti lascia un attimo interdetto (ma come, ho appena comprato delle scarpe, WTF). 
E poi apri il sito per le news sul Fantacalcio, e SBAM ecco pure il popup delle nuove Air Max (di nuovo?!).

Si sprecano ormai gli studi condotti sui comportamenti degli utenti sulle varie piattaforme online e i vari canali social, dai più recenti (sì esatto, ci riferiamo proprio a TikTok) fino a quelli a prova di boomer (qualcuno ha detto “Buongiornissimo kafèeee”?). Ma quanto sappiamo veramente sul “fastidio” causato dagli annunci che popolano le suddette piattaforme?
Riuscite a pensare ad uno qualsiasi di quei canali usati da milioni di persone, totalmente privi di inserzioni o annunci pubblicitari?
Noi, che siamo sempre sul pezzo, vogliamo parlarvi del fenomeno di Ad-blocking e, nel dettaglio, dei Brand Blockers.

Ad-blocking e Brand-Blockers Crew

Il termine brand block e Ad-block condividono le stesse logiche.
 In un caso, quest’ultimo, parliamo di un tool diffusissimo e usato per stoppare la visione di inserzioni mentre navighiamo sui vari siti web. Il brand blocking, invece, è un comportamento ancora poco diffuso che consiste nella segnalazione dei post promossi da parte degli utenti, e a seconda delle possibilità dei vari canali social, dunque nascondere le inserzioni visualizzate nel girovagare per il webbe (inizialmente solo Twitter, sì anche lì ci sono tanti meme da salvare).

Bella la pubblicità, ma non ci vivrei

Gli utenti non usano ad-blocker solo per sospendere la visione di inserzioni sulla maggior parte dei siti che visitano. In molti stanno anche meditando di agire in prima persona dove Ad-block non riesce (Mark protect, Mark defend).

Alcuni temerari utenti, utilizzatori del Twitter, hanno per mesi nascosto e bloccato tutti gli account che promuovevano dei tweet, quasi sfidando le logiche stesse della maggior parte dei social networks (spazi gratuiti che prevedono la visibilità di post/annunci sponsorizzati). Gli stessi utenti hanno poi cercato di replicare questi comportamenti sugli altri canali (semplice quanto archiviare una chat Whatsapp, in effetti).

Ad-blocking vs. brand: endgame?

Esiste addirittura un comitato internazionale che raccoglie tutte le azioni utili per “non” infastidire gli utenti e romper loro le scatole, soprattutto quando i brand vogliono esser diretti con loro.
 Se è vero che molti utilizzino l’ad-blocking e, per adesso opzione remota, questa tendenza dovesse estendersi, si troverebbero quasi costretti a rivedere l’efficacia delle proprie inserzioni (Influencer? Banner? #Ad #Cool #Error404).
L’autenticità del contenuto diventerebbe fondamentale, più che mai.
Così come la capacità di capire dove un messaggio, pubblicitario o meno, debba essere lanciato. I canali scelti da presidiare non sono scontati. Tutto dipende da cosa vogliamo dire agli utenti e del come pensiamo di poterli portare dalla nostra parte.

Chi possiede una pagina social o si attiva in qualche modo con dei canali branded, non può assolutamente prescindere da quanto gli utenti siano diventati attivi a manifestare il proprio gradimento. Creare dei contenuti che non siano freddi come l’ultimo inverno di Winterfell, ma siano sufficientemente sul pezzo (quindi, Drakarys) è il primissimo passo da cui partire per avvicinarsi veramente alle persone.
Il resto? Beh solo un vero drago della comunicazione può essere in grado di capire e reagire a questi scenari!

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